Nella Biodinamica Craniosacrale, per prima cosa, ci si orienta alla salute.

Salute intesa come ingrediente portante e permeante l’organismo umano, salute presente sin dal concepimento, la salute stabile, al di là delle condizioni.

Stabilità come continuità, continuità come la naturale propensione dell’acqua a voler essere sempre in relazione intima.

Salute ed intimità, salute come l’acqua, l’acqua originale.

È un insieme accorto, molto accorto. Basta una sola cellula fuori posto che tutto l’organismo si riaggancia a quella matrice di salute, la salute d’acqua, l’acqua che conforta.

Qui il Breath of Life ancor più “idrata” l’acqua, la imbibisce di forza creativa per riproporre un’esperienza nuova ed atavica insieme. È la salute che da sempre ci abita e che sempre ci ha accompagnati e nutriti, sostenendo tutta la natura del nostro processo evolutivo.

Siamo costantemente in contatto con le radici della nostra evoluzione, un contatto intimo, un sapere intimo ed originale poiché eravamo e siamo acqua. (cosa direbbero Pollack o Margulis?)

E qui sorge la magnificenza di poter scorgere quel contatto in noi operatori e di poterlo contemplare nell’altro, il cliente. Abbiamo sempre a che fare con la nostra acqua relazionale, che imperterrita cerca l’altro e lo fa sempre in equilibrio. È adornata dal Breath of Life.

L’acqua in quanto acqua si eccita alla sola relazione.

Quanto di ciò ora sento?

Con tutto ciò, quanto mi sento saggio?

La nostra cultura genera classifiche, separazioni, divisioni in parti, reattività.

Queste cose l’acqua non le conosce poiché l’acqua per sua natura è biodinamica. Possiede la potenzialità, anzi è potenzialità manifesta del Breath of Life.

La qualità relazionale dell’acqua è molto generosa, una relazione in continua espansione. Ma noi operatori, fino a quanto riusciamo a scorgere questa sua generosità in quiete, indipendentemente dalle circostanze condizionanti?

E… se ci orientiamo alla salute, come onoriamo gli eventi?

 

 

paolo raccanello

Appunti biodinamici tratti da una conversazione tra Gabriella Caramore ed Enzo Bianchi, una domenica mattina.
QUI potete trovare la prima parte dell’articolo.

“Il dono è un’esperienza che nel tempo molti antropologi hanno descritto, poiché è conosciuto ovunque.
Noi vediamo che nella vita delle persone ci sono dei momenti in cui si sente il bisogno del donare, perché il donare è insito nell’uomo. È una maniera per onorare la relazione, di dire che crediamo nell’esistenza dell’altro, che abbiamo fiducia nell’altro, che siamo contenti che l’altro ci sia, che noi in qualche misura vogliamo volergli bene. Allora gli facciamo il dono.
L’uomo conserva questa capacità, perché in ognuno di noi c’è questo bisogno profondo, il bisogno di dire “faccio qualcosa di gratuito”. Questo è straordinario!
Anche nell’uomo più egoista ci sarà un momento in cui emergerà la gratuità: finché c’è quel momento, lui resterà uomo.
Poi dovrà certamente in qualche misura mutare quando qualcuno avrà un comportamento non buono, ma il fatto di essere uomo lo porta, prima o poi, a riconoscere che è capace di fare un gesto gratuito.
Allora, comprendiamo il fatto di aver fatto un dono, comprendiamo il fatto di averlo fatto.

Il vero dono che uno può fare è innanzitutto il dono della sua presenza; poter dire ad un altro “io sono qui”…. ma detto, oserei dire, con attenzione all’altro e con la disponibilità all’altro.
Un po’ come dirgli: “io ti offro innanzitutto la mia presenza”; “sono qui, sono qui con te”; “sono qui accanto a te”. Questo è quello che garantisce che tutti i doni siano autentici.
Se c’è questa disponibilità, diamo qualcosa di noi, diamo la nostra presenza, diamo qualcosa che è il nostro tempo.

Non sempre sappiamo dare cose agli altri, a volte siamo maldestri, a volte interpretiamo male il bisogno degli altri, a volte addirittura non sappiamo parlare la loro lingua. Facciamo semplicemente capire “io sono qui con te”. Credo che molti di noi abbiamo bisogno soprattutto di percepire questo “io sono qui con te” nella vita familiare, quando siamo malati, quando ci sentiamo vecchi. Non abbiamo bisogno di altro se non che di qualcuno che ci dica “io sono qui”, “voglio stare un po’ di tempo con te”, “ti do la mia presenza”.
Quello è il dono, secondo me, dal quale possono scaturire tutti gli altri doni, in sincerità.
Quindi non lasciare l’altro da solo, non lasciare te stesso solo.
Prima di tutto, donati la tua presenza, parti da te.”

 

 

 

a cura di paolo raccanello

Appunti biodinamici tratti da una conversazione tra Gabriella Caramore ed Enzo Bianchi, una domenica mattina.

Premessa. Enzo Bianchi parla di pensiero, di un pensare, ma non un pensiero esclusivo della mente. Si rivolge alla sua interlocutrice parlando di un pensiero corpo, un pensiero che sente, un pensiero che percepisce, un pensiero che ascolta, un pensiero che fa, un pensiero sinestetico.
Mi piace pensare che per per noi operatori questo sia il pensiero incarnato che esprime quella solidità di sempre e senza tempo, che ci permette di incontrare le condizioni di chi ci chiede aiuto.

A voi la lettura.

 

Se ci si ferma solo all’ammirazione, dentro di noi non accade nulla, ma se ci concediamo il tempo di riflettere, la tenacia della vita, che sempre prevale sulla morte, non può che lasciarci per lo meno stupiti. Vi è chi di una strada fa la propria strada maestra e chi ama invece tracciare percorsi, sentieri e vie diverse. Ciò che conta è prendere sul serio le parole che si incontrano, trarle fuori dalla consuetudine, dal vuoto, dall’insensatezza in cui a volte queste parole cadono e poi rimetterle nella tensione del proprio tempo(anonimo)

 

“Sapienza ed esperienza. Sono parole che hanno come tema principale la relazione. Parole che si possono ricevere dall’esperienza, dallo studio, dalla fede, ma che è necessario innervarle nella vita di tutti giorni.
Ma quanto è necessario aprire queste parole al mondo?
Fede e religione, sono certamente ispiratrici, però poi la sapienza non viene soltanto dall’ispirazione o da una tradizione. La sapienza viene anche da ciò che si vive ogni giorno, dall’attenzione con le cose, con gli altri, dall’entrare in relazione con gli altri.

Mi è stato insegnato sin dall’infanzia a pensare costantemente quando ho qualcosa o qualcuno davanti; pensare alla relazione che c’è tra me e qualcuno, l’altro, tra me e gli eventi e le cose, le cose che appartengono alla natura. Questo esercizio al pensare, è quello che crea la relazione, una relazione che può diventare una connessione, ma che prima ha bisogno di conoscenza, ha bisogno di passare attraverso una certa empatia, attraverso soprattutto un ascolto dell’altro, un ascolto anche delle cose.

A me chiedevano da piccolo, e mi è servito molto quando andavo in giro per le mie colline e i miei boschi: “hai ascoltato gli alberi?”.
Mi sembrava una domanda strana… poi invece ho capito che si ascolta anche un albero a forza di passarci vicino, di guardarlo, di vedere come lui cresce, come lui si muove al vento, come lui passa attraverso le stagioni, l’autunno, la primavera, come lui resta un segno per noi. Quell’albero è qualcosa che è in relazione con noi. Quindi, credo che una sapienza, noi uomini, la dobbiamo trarre soprattutto dal nostro vissuto, dal vivere pensosamente (sentendo, percependo, ascoltando, facendo), quindi dal cercare di entrare in relazione.
Poi, su questo cammino, c’è certamente anche il proprio credo, che ci aiuta ad approfondire ancora di più e ad allegare tutte le relazioni. Lo fa in maniera tale che tutte le volte dobbiamo rinnovare quel senso di connessione perché non ne abbiamo trovato uno che vada bene in tutte le occasioni. Però bisogna anche essere disposti a mettere in crisi quello che si è acquisito nell’incontro con l’altro: mettere in crisi e rinnovare ogni giorno con nuovo stupore.
Questo stupore, questa meraviglia, è qualcosa che in noi è naturale e che viene dall’incontro, dalla relazione con gli altri.

Ecco, io credo che una fede, un credo non basti per una vera sapienza: la fede aiuta, dà colori, dà la luce, ma poi il lavoro spetta a noi uomini ed è il lavoro soprattutto di relazione, oserei dire di relazione e comunione con gli altri e con le cose. Il pensiero, in quanto tale, non può essere chiuso in se stesso, narcisistico.
Il pensiero nasce dalla relazione ed interroga sulla relazione.”

Segue nel prossimo articolo…

 

 

a cura di paolo raccanello

Liberamente tratto da “The fourth phase of water” di Gerard H. Pollack

Mi chiedo costantemente…
Quali misteri si nascondono nelle profondità di un bicchiere d’acqua? Cosa fa emergere le deboli nuvole di vapore dalla tua tazza di caffè caldo? O le nuvole bianche gonfie che fluttuano nel cielo?”

“Vi racconto una piccola storia…
Un bel giorno, due studenti si precipitarono nel corridoio dove mi trovavo con un bicchiere di plastica in mano per mostrarmi una cosa inaspettata. Sfortunatamente, il loro risultato svanì prima che potessi darci un’occhiata.
Quello, non fu un colpo di fortuna. Infatti, il giorno seguente il fenomeno riapparve e divenne chiaro il motivo per cui gli studenti avevano reagito con estrema eccitazione: erano stati testimoni di un fenomeno “acquatico” aldilà della spiegazione.”

Continua Pollack… “L’acqua copre gran parte della terra. Pervade i cieli. Riempie le tue cellule in misura maggiore di quanto tu possa esserne cosciente. Le tue cellule sono per due terzi acqua; tuttavia, la molecola d’acqua è così piccola che se dovessi contare ogni singola molecola nel tuo corpo, il 99% di loro, sarebbero molecole d’acqua.”

“Quindi, cosa sappiamo di quelle molecole d’acqua?
Gli scienziati studiano queste molecole d’acqua, ma raramente si occupano dei grandi insiemi come, ad esempio, l’acqua nei bicchieri di plastica. La maggior parte degli scienziati si concentra, invece, sulla singola molecola e sui suoi immediati vicini, sperando di estrapolare ciò che potrebbero apprendere osservando fenomeni su vasta scala. Tutti cercano di capire ed osservare il comportamento dell’acqua e cioè di come le sue molecole agiscono in modo sociale.”

E quindi ci chiede… “Capiamo veramente il comportamento sociale dell’acqua?
Poiché l’acqua si trova ovunque, potresti arrivare alla conclusione che la comprendiamo completamente. Ma non proprio così.”

“Il professor Pollack ci invita ad aprire gli occhi e a rivivere il nostro mondo naturale, a non dare nulla per scontato.
Pollack ci porta in un fantastico viaggio attraverso l’acqua, mostrandoci un universo nascosto brulicante di attività fisica che fornisce risposte così semplici che qualsiasi persona curiosa può capire.”

Ecco perché partecipare al Convegno Acsi 2018

 

 

 

a cura di paolo raccanello

 

L’invito

Lo studio del cervello degli scacchisti e dei campioni di memoria, indica che in molti casi si può raggiungere un’attività mentale selettiva ed intensa riducendo, anziché aumentando, il ritmo del cervello. Questo lo possiamo sperimentare molto bene anche con una semplice passeggiata nella natura o respirando lentamente.
Quindi lento è meglio!

Le velocità contemporanee istigano il procrastinare, accavallano ed aggrovigliano cicli fisiologici con altri cicli, oscurando la via. Facilmente ci si ritrova a prestare iperattenzione verso l’esterno, proiettandoci fuori dal corpo, verso la dissociazione, instaurando una cronica sordità propriocettiva.
È un sintomo che si manifesta.

Prendiamo un bel respiro…

Prima di rispondere all’eterna domanda “chi sono io?”, occorre rispondere ad un’altra domanda “dove sono io?”
Per offrire risposta a ciò, possiamo interpellare la tensegrità del sistema connettivale (tra l’altro dichiarato organo), la sua intrinseca qualità di lentezza intera, istigatrice del rilassamento della tensione muscolare e psichica; lentezza per un ripristino del controllo neurovegetativo e del corretto ciclo sonno/veglia; per la normalizzazione della pressione sanguigna; per il miglioramento del metabolismo e della respirazione; per il rinforzo del sistema immunitario; per l’aumento del rilascio di endorfine; per il miglioramento della capacità propriocettiva e della coordinazione motoria.

Abbiamo a che fare con un paradosso, vero? Sa di… meno faccio e meglio vivo.
Insomma, decelerazione è la parola d’ordine o, meglio, l’azione d’ordine.
Questo è un caro invito ad incarnare la profonda e saggia fisiologia della vita che ci scorre dentro e fuori.
Questo è un invito rivolto a noi operatori.
Ti inviti?

 

 

paolo raccanello

Sull’interstizio biodinamico e non solo.

Il tempo presente è amorevole forza che sussurra.
Non tentenna, sapendo che fare.
L’interstizio, questo spazio intermedio in noi, questa spazialità dell’universo umano. Un tutt’uno con lo spazio fuori di noi.
Ma è veramente spazio fuori di noi?

Respirando cuciamo il fuori con il dentro, aggreghiamo, richiamiamo, accarezziamo.
Informing ed exforming e tra i due una pausa, una resa attiva che fertilizza unione e confine.

Contempliamo il movimento accelerato dei gorghi aerei che incontriamo.
È qualità di sorgiva ordinatamente rimestante; è evoluzione ed assestamento insieme.
Qui, osserviamo il seme che ascolta ed aderisce alla via della morte quale rinascita verso il germoglio; sentiamo il vento che unisce ogni età del mondo e della nostra evoluzione.
Ha toccato visi e corpi migliaia di anni prima di toccare i nostri.
Questo è lo stesso vento, la stessa tensegrità.
Questa continua creatività che imbeve altra continuità. Un presente dilatato e concreto.

 

paolo raccanello

….sulla pelle di ogni essere umano è anche rappresentato tutto l’Universo, nel suo passato, nel suo presente e nel suo futuro.” (Giuseppe Calligaris)

Se ora e solo ora permetto in me la consapevole emersione del connettivo, scopro che la prima, ma proprio la prima cosa che affiora è una qualità che sa di terra e proviene dal ventre, impastati assieme: ecco… si sta espandendo ovunque.

Succede anche a te ora?

Certo… oggi sorge qui nel ventre, ma è una voce che ha qualità tensegrita e spargendosi lentamente, mischia e rimischia rinnovando la sua qualità con quello che incontra. Incontra la capacità compassionevole del tessuto che impasta il cuore, l’isolato cervello di vedetta, le radici nei talloni, l’orizzontale spazialità dei diaframmi e anche una qualità di l’un con l’altro.
Ma cosa significa l’un con l’altro? Si tratta di relazione forse?
Qui, non c’è chi inizia e chi termina la relazione: è un continuum di forze, messaggi e significati.

Allora prendo un profondo  r e s p i r o ,
piano, entro con garbo, con tocco neonato nel mio sistema respiratorio cellulare.
Mi accorgo da subito che il termine sistema è di troppo…
Curo una particolare attenzione nell’appoggiare la mia esperienza ai fibroblasti, m’infiltro in questa vastità, sento affiorare un senso di   comunione      e  di       i  l  l  i  m  i  t  a  t  e  z  z  a          da qui… il connettivo è ogni cosa in me!
Riposo qui un po’ e lascio.

Sono divertito dagli strati cangianti ed intrecciati del connettivo nel connettivo. Ecco la concordanza orchestrale che arriva in un lampo alle mie membrane che si tendono reciprocamente e che ora inviano, a lento rimbalzo, messaggi fisicamente emozionali a tutto quello che sta lì intorno e non solo… il tessuto elastico che fodera la colonna vertebrale, sino al sacro… sino ai talloni con forza salda.

Il connettivo aggrega, mi tiene unito in libertà, ha capacità di isolare, ha l’esperienza per creare spazi ed inerzie, di farmi percepire il più lontano dei segnali, di farmi sentire il più corto dei discorsi e questo piccolo è ascoltato ovunque, perché parla incessantemente… parla di una storia scritta qui, parla di relazione.

Il Sole, la sua luce, il suo calore; la Luna, con le maree e i simpatici umori.
Anche questo è tessuto connettivo.

Cosa accade a te ora?
Lo racconteresti QUI?

 

paolo raccanello

Considerare tutto ciò un basamento della Biodinamica, mi fa star bene.
Lo so: è una lettura che ha bisogno di tempo ed impegno. Questo tempo incluso, oserei dire, che è già come essere nella marea.
Ti auguro una buona lettura.
Come una ruota, come una ruota, come una ruota con i suoi raggi convergenti verso il mozzo e divergenti verso l’esterno, attingiamo informazioni, cerchiamo relazioni portando ciò al centro, il preciso nutrimento, per avere la spinta divergente, ancora.
La marea diverge e converge ed altro. In tutto ciò, il vuoto che parte ha?
Ancora belle parole di Laozi, raccolte da Shantena Augusto Sabbadini in “Tao: i racconti della vita”.

IL VUOTO 
La descrizione che più si avvicina all’indescrivibile Dao è forse come ‘vuoto’. Questo vuoto è fecondo, è una sorgente inesauribile da cui tutte le cose emergono e a cui ritornano. Al vuoto il saggio si volge come alla sua più autentica dimora. Il cammino del ritorno che è il movimento del Dao non è dunque un riempirsi, ma uno svuotarsi. Le cose concrete hanno una loro relativa utilità, ma ‘l’utilità essenziale appartiene al vuoto’. (Shantena Augusto Sabbadini)

Il vuoto inesauribile 
Il Dao è un recipiente vuoto,
ma a esso puoi attingere senza fine.
È un abisso senza fondo,
il progenitore delle miriadi degli esseri. 
In esso i contorni taglienti sono smussati, i nodi sono sciolti,
lo splendore è attenuato,
la polvere si deposita. 
È una sorgente profonda, inesauribile.
Non so di chi sia figlio:
la sua immagine esisteva prima degli antenati.
(Laozi, 4)

Il nostro caro embrione che ci vive ancora, caro embrione. Lo sappiamo perché l’abbiamo fatto. Cosa abbiamo fatto? Ci siamo impastati e rimpastati, ci siamo bruciati per ricostituirci nuovi, ci siamo allungati per annodarci e annodati per distenderci ancora, ci siamo divisi per ricongiungerci. Siamo stati e ci siamo assistiti nella vitalità di queste piccole morti.
Anche ora stiamo compiendo questa volontà ampia. Ma, dov’è il suo inizio? Dov’è il suo termine?

Spazio metabolico, spazio dalle qualità di organo. Lo spazio tra me e te, permette che tu sia tu ed io sia io. Lo spazio crea possibilità e le ha da sempre. Il centro onora lo spazio ed invita l’ordine, l’accesso, la funzione essenziale…

L’utilita’ essenziale 
Facciamo convergere trenta raggi sul mozzo,
ma è il foro centrale che rende utile la ruota. Plasmiamo la creta per formare un recipiente,
ma è la cavità interna che rende utile il recipiente. Apriamo porte e finestre nelle pareti di una casa: sono queste aperture che rendono utile la casa. 
Perciò il pieno è utile,
ma l’utilità essenziale appartiene al vuoto.
(Laozi, 11)

Per la Quiete. Cedi e cedi: cosa ti resta? Forse resti quel che veramente sei? La bellezza del gregario? La bellezza del proprio posto? Ma che bello riconoscere che possiamo già essere e stare al proprio posto! Tutto senza fare solamente il fare, attingendo a quel regalo dal nome di originalità.
E nulla si perde… appunto.

Ritornare alle radici 
Porta il vuoto al suo limite ultimo,
resta saldo nella quiete.
Le miriadi degli esseri nascono e muoiono: osserva il loro ritorno.
Le innumerevoli creature ritornano
ciascuna alla propria radice.
Ritornare alla propria radice è detto ‘la quiete’. ‘Quiete’ è accettare il proprio destino.
Accettare il proprio destino
è divenire parte dell’eterno.
Conoscere l’eterno è saggezza,
ignorarlo è muovere ciecamente verso la rovina. 
La conoscenza dell’eterno rende vasti, la vastità rende imparziali, l’imparzialità rende regali,
la regalità rende simili al cielo. 
Essere simili al cielo è essere nel Dao.
Essere nel Dao è durare per sempre.
Allora, benché il corpo finisca, nessun danno.
(Laozi)

 

 

a cura di paolo raccanello

IL SOFFIO DI VUOTO

Soffio di vita, Vuoto di vita. Questa unica eterna forza che non ha bisogno di ripari poiché è essa stessa riparo e forza. Promuove raffiche di metamorfosi, incorruttibili andamenti, inaspettate conversioni, bocconi d’ogni tipo, scuoiate passioni che sanno di genesi, genesi e genesi… 

Ogni volta è una nuova emozione questo approcciarmi e relazionarmi attraverso la scrittura con l’effettività del Soffio di vita.
È vero… per quanto io possa generare giri di parole, resto sempre lontano dalla vera potenzialità che questo Soffio può farmi arrivare. E cedo, cedo… accedo e cedo ancora ed ancora, non mi resta altro che far questo…

Come in altri passati articoli, ripropongo un’introduttiva lettura delle parole di François Cheng, tratte dal suo libro “Cinque meditazioni sulla bellezza”. A seguire, altre parole di Laozi, raccolte da Shantena Augusto Sabbadini in “Tao: i racconti della vita”.

Lasciatevi impressionare da questa Biodinamica.

 

“La cosmologia cinese è basata sull’idea di soffio, che costituisce al tempo stesso una realtà materiale e spirituale.
A partire da quest’idea di soffio, i pensatori hanno formulato una concezione unitaria ed organica dell’universo in cui tutto si trova connesso e collegato. Il soffio primordiale, in grado di garantire l’unità originaria, continua ad animare tutti gli esseri, collegandoti all’interno di una gigantesca rete di intrecci e di generazioni chiamato tao, la via.
All’interno della via, la natura del soffio e il suo ritmo sono ternari, nel senso che il soffio primordiale si divide in tre tipi di soffi che agiscono sincronicamente: il soffio Yin, il soffio Yang e il soffio del vuoto mediano. Tra lo Yang, potenza attiva, e lo Yin, dolce ricettività, il soffio del vuoto mediano – che traina il suo potere dal vuoto originario – ha la capacità di coinvolgere le altre due funzioni in un’interazione positiva, in vista di una trasformazione reciproca, benefica per entrambi.
All’interno di questa prospettiva, ciò che accade tra le entità viventi è importante tanto quanto le entità viventi stesse. Il vuoto assume qui un significato positivo, in quanto legato al soffio…”
(Cinque meditazioni sulla bellezza – François Cheng)

Materiale e spirituale indivisibili. Non è solo un’idea ma un’effettività originale che respira sempre e sempre costituendo quello specifico insieme. Per avvicinare il Soffio alla nostra comprensione l’autore espone il concetto di polarità, quindi di completezza che accade in ogni istante e che ci fa respirare, venendo respirati a nostra volta dal soffio di vita e dal vuoto di vita.

“La comprensione più profonda non è simile a un picco, ma a una valle. La natura della realtà ultima è più femminile che maschile. Il saggio non si pone al di sopra delle cose, ma al di sotto. In questo modo egli diviene ‘un ruscello per il mondo’ e ‘ritorna allo stato dell’illimitato’.” (Laozi)

“Lo spirito della valle non muore mai. È il femminile misterioso.
La porta del femminile misterioso è la radice del cielo e della terra. Tenue come una ragnatela, ha appena un soffio di esistenza. Eppure il suo uso è inesauribile.” (Laozi)

L’accoglienza di una valle riparata, ha le sembianze di un grembo. L’accoglienza non si improvvisa, perciò, come tale è unità che invita a decantare, a farsi filtrare e filtrarsi sempre più, per sempre più farsi appoggiare ed appoggiarsi, affidarsi senza fine.

“Perciò ‘un grande sarto taglia poco’.” (Laozi)

Da qui, la fiducia.

“Dao allude perciò a qualcosa che è al di là di ogni concettualizzazione: ogni descrizione che se ne può dare è necessariamente parziale e perfino, in un senso profondo, fuorviante. Se vogliamo tentare di rendere in qualche modo l’aura della parola, possiamo dire che essa abbraccia l’idea di ‘natura ultima delle cose’, di ‘sorgente, radice, principio’, di ‘movimento intrinseco del tutto’. È più facile darne una descrizione in termini negativi che positivi: il Dao è detto ‘evanescente’, ‘silenzioso’, ‘senza forma’, ‘senza sostanza’, ‘indistinto’. Esso ‘non agisce’, ma in questa non azione ogni cosa si compie spontaneamente. Esso è ‘vuoto’, ma il traboccare di questo vuoto è la pienezza dell’universo visibile, l’emergere e il dissolversi delle forme. È un ‘recipiente vuoto il cui uso è inesauribile’ e ‘l’antenato delle miriadi degli esseri’. Il vuoto, la cavità, la valle, il femminile sono alcune delle metafore con cui ci si può avvicinare a esso.” (Laozi)

La natura del “raccontare” è intrinsecamente parziale se la confrontiamo con l’esperienza vissuta: non è né meno né più, è quel che è ed è per questo che è inesauribile. È la totalità dell’esperienza a consacrare la vitalità che vive dentro alla “cosa” di cui facciamo esperienza, un abbraccio spontaneo.

“Questo concetto che non è un concetto non ha un analogo nel linguaggio della filosofia occidentale. Per un verso richiama l’idea di divinità immanente. Per un altro ricorda il vuoto della fisica quantistica, che è un continuo ribollire di creazione e distruzione, un serbatoio di energia illimitata. Ma si tratta solo di analogie parziali. Non c’è nulla nel Dao che assomigli all’aspetto personale dell’idea di divinità. E nello stesso tempo non è qualcosa di lontano e inaccessibile all’essere umano: è simultaneamente quanto vi è di più lontano e di più vicino, l’origine di tutte le cose e l’esperienza più intima e immediata. A esso il saggio ‘ritorna’, in esso trova il suo ‘nutrimento’. Questo ritorno non è un accrescimento, ma piuttosto uno svuotamento.” (Laozi)

La Biodinamica sta avendo la capacità di occidentalizzare con tenerezza la filosofia orientale. Ed è anche per questo che, se cerchi di spiegarla, rimane parziale. Tenera, parziale, vicina e lontana, intima ed estranea. Ed ancora un connettersi, ritrovandosi originali.

“Praticare la conoscenza vuol dire
acquisire qualcosa ogni giorno.
Praticare il Dao vuol dire
perdere qualcosa ogni giorno.
Perdere e perdere fino ad arrivare al non agire.”
(Laozi)

ed ancora…

“Non facendo nulla, nulla resta incompiuto.” (Laozi)

 

paolo raccanello

Prima della nascita della materia
c’è stata la nascita della potenzialità.
Prima della potenzialità, l’origine.
Una Essenza.
Una via, silenziosa, immobile, immutabile,
la bellezza inespressa della Verità,
madre unicamente di Se stessa.

È stata chiamata Dio, Tao, Madre Divina,
Spirito Universale.
Oggi si sente giusto chiamarla Amore.
O forse Spirito d’Amore,
poiché uno Spirito implica una grandezza onnipresente
semplice come il nostro respiro.

L’Amore non è un’emozione o un sentimento.
È il Senza forma e la sostanza che penetra
il visto e il non visto
il seme e la matrice dell’universo.
Chiamatelo come volete, esso abita
appena oltre il limite della nostra capacità di descriverlo.

È stato detto “Dio è amore”.
Così, il Cielo cerca l’Amore
la Terra cerca l’Amore
gli uomini cercano l’Amore.
È questo che ci rende grandi.

La gente abita la Terra
la Terra nel Cielo i
l Cielo nell’Amore.
L’Amore abita ogni cosa.
È questo che ci rende Uno.

Haven Treviño – The Tao of Healing

a cura di paolo raccanello