di Cristina Ferina

 

Tra i vari detti la miglior difesa è l’attacco oppure la fuga o ancora il distacco, preferisco di gran lunga quello che dice, o forse lo dico solo io, che la miglior difesa è stare con quello che c’è, (inteso come sfide quotidiane).
Nel tempo, ho compreso che più si cerca di resistere ad un evento, una situazione, una scelta, cercando di metterlo in disparte, simulandone l’inesistenza, più questo si rafforza vestendosi di prepotenza, arroganza e ferocia… come un animale selvatico pronto ad attaccare in ogni momento.

Stare con quello che c’è è la postura, interiore, alla base della meditazione, degli esercizi spirituali, delle pratiche filosofiche, del fare anima. È il rigore, e allo stesso tempo l’apertura, che porta alla scoperta del sempre nuovo che popola tutte le cose.

Stare con quello che c’è, senza altra pretesa, anche se all’inizio può bruciare, diventa un balsamo lenitivo.
Penetra, punge, pesa, scatena il pianto… per poi lasciare spazio ad una inspiegabile leggerezza, al miracolo della compassione, alla tenerezza della comprensione.

Stare con quello che c’è è infondere forza alla propria struttura, alla tensointegrità dell’anima, stimolando la Visione consapevole che si esprime ad ogni livello dell’esperienza.

Stare con quello che c’è è essere in linea con l’espansione della forza vitale, nel rispetto di un equilibrio ecologico, in una relazione ancestrale tra l’uomo e la Natura.

Per stare con quello che c’è, all’inizio, serve un po’ di training. È un’attività alla quale ci si deve educare, quanto basta per capire che la bellezza è ovunque, soprattutto nelle situazioni più complesse.

Uno spunto arriva da chi di adattamento e apprendimento, riferito in particolare ai processi industriali, ne sapeva abbastanza, Henry Ford, il quale aveva affermato:

Niente è davvero difficile se lo si divide in piccoli pezzettini                            

È un concetto applicabile anche alle situazioni della vita. Quando qualcosa è troppo grande da sostenere tutto intero, basta sminuzzarlo; questo succede, banalmente e tutti i giorni, con il cibo.
Perché non provarci anche con gli eventi, gravosi, che incontriamo sul nostro cammino? Prendiamo la cosa che al momento ci desta più preoccupazione, disagio, incertezza e scomponiamola, scegliendo da quale parte iniziare.
In sintesi, impariamo a semplificare, che semplificare è la capacità dei grandi maestri.

Una seconda suggestione giunge dalla parola inglese Fear (paura).
Qualche anno fa lessi che Fear può essere benissimo l’acronimo di False evidence appearing (as) real, ovvero una falsa evidenza che sembra reale.
In pratica, la paura, necessaria in alcune occasioni, il più delle volte, nelle questioni di ordine quotidiano, quindi lavorativo, relazionale, personale, è solo una proiezione della nostra mente, sempre pronta a fronteggiate il peggio, incapace di distinguere tra reale e simbolico.

La paura, per certi aspetti, quindi, non esiste, non ha diritto d’essere.

Manca la cultura della poetica, del senso, della ricerca dell’ordine, delle cause intrinseche e non evidenti, del rischio di apprendere nuove abilità.
Stare con quello che c’è insegna a riconoscere la potenzialità nel limite apparente, lo trascende per offrirci l’opportunità dell’incontro con la parte compassionevole e coraggiosa che ha la forza di scomporre, rendendo meravigliosamente suggestiva e fonte di ispirazione continua anche l’esperienza più cruda, trasformandola in un rifugio premuroso per la discrezione della nostra anima.

Stare con quello che c’è è abitare il mondo.

 

 

Nella Biodinamica, l’orizzonte è una dimensione chiave.

Orientarsi all’orizzonte, percepire l’orizzonte, osservare l’orizzonte, sono tutti inviti ad arricchire il Campo. E’ proprio dall’orizzonte, all’altezza dei nostri occhi, che emergono gli elementi essenziali per il lavoro biodinamico.

Volgere lo sguardo all’orizzonte è un movimento di espansione vitale, di consapevolezza, di esplorazione e verità. L’orizzonte è il confine, il limes naturale che sembra dividere il cielo dalla terra, o dall’acqua; in realtà, la separazione apparente, è il punto di passaggio verso lo spazio profondo in cui le storie dei clienti si fondono, per ritrovare la loro collocazione naturale, con le nostre.

Nell’andare verso l’orizzonte, la vista, esterna ed interna, incontra esattamente ciò che occorre. Guardare dritto all’orizzonte è essere esattamente allineati, senza dover né alzare, né abbassare lo sguardo, in modo naturale, assecondando un movimento percettivo spontaneo, nel qui e ora, unico tempo possibile.

E’ proprio in questo spazio che l’orizzonte si riveste di senso, di conoscenza, di sapere. E’ qui che, con amore, ci affidiamo alla saggezza della Respirazione Primaria, al suo movimento fluido, di autoregolazione ed equilibrio.

Il senso dell’orizzonte, in questa prospettiva, è quello di aiutarci a comprendere come negoziare la giusta distanza, cosa accogliere, come interagire e relazionarci nel campo. Diventa una bussola che ci sostiene nel processo, una stella polare che guida la nostra esplorazione, presente, dinamico, foriero di quiete e contenuti, gli stessi che poi andranno a nutrire il racconto silenzioso del sistema.

Quando questa narrazione si manifesta, affermando la sua presenza e prendendo forma e sostanza, restituendo un valore unico e prezioso all’elaborazione dell’esperienza personale, ecco che il senso dell’orizzonte cambia veste, capovolgendosi, diventando orizzonte di senso.

L’orizzonte di senso è indispensabile nell’elaborazione della propria storia, si costruisce progressivamente mentre si avanza verso il proprio vissuto e le proprie memorie, nel recupero della propria autenticità, del proprio senso di appartenenza, delle proprie radici, grazie alla qualità del cambiamento che solo la Biodinamica, danzando con la totalità, riesce a compiere.

Incontrare il proprio orizzonte di senso con la Biodinamica significa non dover più spostare lo sguardo in un’altra direzione, percepirsi finalmente al posto giusto, riallineato alla traiettoria che, inconsapevolmente, si stava cercando da tanto tempo, quella degli inizi. Smarrendosi e ritrovandosi, questo percorso riconduce, come i sassolini bianchi di Pollicino, davanti alla porta di Casa, e permette l’affrancamento dal senso e dalla paura dell’abbandono che spesso si instaurano nella fase pre e perinatale, diventando, successivamente, i fulcri inerziali delle nostre vite.

 

Cristina Ferina

Ci sono eventi e accadimenti che fanno accendere in me una prorompente spinta a celebrare la Vita. E la voglio celebrare con la sua Forza. La Forza, dicono al Cern, è una “nuova” forma di luce, una nuova scoperta che per ora è solo teoria.

“Tutto scorre come un fiume” cito Eraclito, 2500 anni fa. Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va.”

Tutto si muove nel mondo e si trasforma, secondo una legge che Eraclito diceva non poter essere espressa a parole. Per questo al Cern lavorano come matti, nel tentativo di dimostrare scientificamente, come fa la scienza, ciò che da millenni si conosce.

Una bella notizia c’è. I bosoni sono dimostrati scientificamente. Sono i “messaggeri”, comunicano con altre particelle, e non solo, e sono particelle elementari, le più piccole di quelle conosciute, proprio piccolissime, piccolissi-missime. E sono il fondamento di tutto l’Universo e di tutto ciò che c’è. Non si sentono nemmeno, figurati se si vedono, se ne possono riconoscere gli effetti. Al loro interno non c’è niente. Se ne occupa la fisica subatomica. E il famigerato bosone di Higgs è il collante, quello che tiene insieme tutto il resto, quello che consente a tutto il resto di stare insieme. Forse era quello che Ighina definiva “colla magnetica”.

Come l’Universo anche noi partiamo da qui, dai bosoni. Perché la Forza è costituita da tre tipi di bosoni che collaborano tra loro ed è onnipresente.

All’interno di un vasto campo quantico non esiste separazione fra un bosone e l’altro. Vien da dire che tutto è Uno e Trino, perché anche il corpo umano reagisce alla Forza, composta da bosoni, e il corpo è tutto questo mondo di particelle e onde che non possiamo vedere ma del quale siamo composti, in unione con tutte le altre particelle di tutto l’Universo.

E questa è la Forza prorompente della vita, che percepiamo come soffio e che invece è il fiume in piena con la Grazia che lo contraddistingue, e lascia a noi mortali/immortali il credere che qualcosa finisca, che esista separazione tra un evento e l’altro, che esista la fine di qualcosa, qualsiasi cosa alla quale ci teniamo aggrappati saldamente, perché rispecchia quello che crediamo di noi stessi.

E quindi, visto che il tempo non esiste se non come convenzione nella quale facciamo esperienza, significa che tutto è Forza compresi noi stessi, e all’interno di Essa non esiste separazione.
“Spazio e tempo non sono condizioni in cui viviamo, ma modi in cui pensiamodiceva Einstein.

Quando qualcuno si affida a me con fiducia, o forse speranza, cerco ogni volta di vedere la stesa cosa: particelle. Le stesse che nuotano e alacremente lavorano all’interno di tutto, la stessa identica particella. Che noi poi abbiamo individualizzato, rivestito con convenzioni e convinzioni, emozioni represse e non, idee, credenze, afflizioni, sentendoci ogni volta deprivati. Deprivati, questa è una delle parole chiave, dal mio personale punto di vista. Nell’individualizzazione ci siamo sentiti deprivati.

E quindi diamo, riempiamo quella voragine. Il “come” è semplicissimo, perché attraverso la Biodinamica supportiamo la possibilità per ciascuno di accedere nuovamente a tutte le informazioni addormentate che già possiede, quelle che permettono alla Forza di manifestarsi con sempre rinnovato vigore, all’interno di un’atmosfera sempre più leggera.

a cura di Patrizia Massi

 

Patrizia Massi
Nata nel 1959, operatrice in Biodinamica opera nel suo studio in provincia di Novara. Ha ideato il metodo Campo Unificato Miofasciale, che si basa sulle leggi di fisica e del magnetismo esistenti nel corpo, tramite il quale restituire benessere e coscienza di sé alle persone.

Si stima che solo negli Stati Uniti il 70% della popolazione abbia un qualche tipo di esperienza traumatica nella propria vita. Circa 25 milioni di persone e fra queste almeno 5 milioni svilupperanno la sindrome da depressione cronica. Nel mondo si stima siano 350 milioni.

Questi dati ci aiutano a comprendere l’attenzione che va dedicata a questa malattia, poiché di vera malattia si tratta. Gli esiti sono mancanza di determinazione, confusione mentale, assenza alla partecipazione degli eventi nella propria vita, assenza di valore personale, disagio a stare con se stessi e molti altri. Nella maggior parte dei casi i traumi che più condizionano vengono vissuti nei primi anni di vita.

È un processo deleterio quello che accade nel cervello perché il risultato è mancanza di produzione di dopamina e di endorfine, che risultano pressoché assenti. Queste sono sostanze basilari, atte a darci un senso di direzione nella vita e incentivarci a perseguire gli obiettivi. La loro assenza porta la persona a ricercare all’esterno un loro supplente, le droghe ad esempio creano scariche di dopamina nel cervello, così come tutte le altre dipendenze.

 

Lo strumento della Biodinamica è eccelso nel sostenere un riequilibrio in questo senso. In realtà sempre più studi evidenziano, finalmente, come il corpo funzioni in base alla percezione che abbiamo degli accadimenti esterni e di come sia regolato dalle leggi della fisica, e non della chimica come abbiamo creduto e impostato la medicina negli ultimi decenni. Le ferite emozionali, soprattutto quelle che hanno radici in giovane età, producono memorie continue che determinano cosa siamo diventati, in quali limiti ci siamo rinchiusi. È inutile sovraccaricare un sistema già danneggiato con buoni consigli o incitamenti a vivere la propria vita. Bisogna togliere. Togliere tutte quelle memorie che sono stipate nel tessuto interstiziale e che determinano le nostre caratteristiche. Far ripartire la centralina che fornisce corrente ai processi cerebrali che governano le ghiandole, perché in realtà sono esse a regolare la vita.

 

La Biodinamica permette alle memorie di essere rilasciate. L’abbiamo sperimentato ripetutamente. Questo processo avviene perché il Guaritore Interiore è sostenuto, dal mio punto di vista. I traumi ci rinchiudono nella convinzione di non essere amati e non essere voluti, di non essere degni di amore. Questa per mia esperienza è la matrice di comportamenti che portano anche ad atteggiamenti vittimistici, per cui non siamo mai i capitani della nostra nave, o per esserlo eccediamo in prevaricazione e dipendenza dal potere.

La Biodinamica riporta equilibrio, perché sostenendo ciò che già esiste ma non ha la forza di agire, il sistema si riposiziona sul tracciato della sua natura. La dopamina inizia a essere di nuovo prodotta, le endorfine vengono prodotte perché con l’alleggerimento delle obsolete memorie è più facile provare gioia per le cose, fino ad arrivare a una chiara percezione di se stessi e della propria presenza in questo mondo e quindi la spinta a voler dare un senso alla propria vita.

 

Sono passi graduali, spesso non occorre nemmeno molto tempo. La Biodinamica influisce sulla percezione di essere sostenuti ed amati, porta a una visione di sé di gran lunga oltre quello che pensavamo di non essere, fino alla scoperta che siamo, e abbiamo tutto il diritto di essere.
Siamo fatti di fisica e impulsi elettrici, il nostro corpo contiene tutto ciò che siamo o che abbiamo archiviato, e soprattutto tutto questo complesso sistema si forma in base alle emozioni che proviamo. Sono le emozioni che prefissano il nostro domani, sono loro il capitano della nostra nave perché esse regolano i processi di tutte le sostanze che vengono prodotte. Quello che forse dimentichiamo è che siamo noi i creatori delle nostre emozioni. Produrre emozioni più equilibrate è l’inevitabile processo che avviene affidandosi alla Biodinamica e al dispiegarsi delle forze che pone in campo, il nostro campo, un grande e vasto spazio non delimitato da tutte quelle barriere e confini che creiamo nella nostra test.

a cura di Patrizia Massi

 

Patrizia Massi
Nata nel 1959, operatrice in Biodinamica opera nel suo studio in provincia di Novara. Ha ideato il metodo Campo Unificato Miofasciale, che si basa sulle leggi di fisica e del magnetismo esistenti nel corpo, tramite il quale restituire benessere e coscienza di sé alle persone.

Poiché noi siamo dove non siamo. 

Pierre-Jean Jouve

 

La Biodinamica, lo dice la parola stessa, è vita; in quanto tale, si muove, generando di volta in volta nuove esperienze. Così come non ci si bagna due volte nello stesso fiume, non esiste una sessione uguale all’altra, perchè la Biodinamica, declinata nel corpo, è l’insieme delle forze in gioco, che sostengono il processo vitale e si muovono nel campo.

ll campo, cos’è.

Il campo è adesso, dove siamo. Lo spazio, la stanza, le persone, le pareti e i complementi d’arredo, i profumi e i rumori, la temperatura e le dimensioni, la natura.
E’ un fenomeno con cui stabiliamo una relazione, che diventa esperienza.
Il campo è anche ciò che non si vede: le nostre storie, i nostri ricordi, le nostre esperienze pregresse, custodite nelle nostre cellule, nella nostra memoria mitocondriale.
Quando siamo, e agiamo, nel campo biodinamico, dove si compie la sessione di lavoro, è fondamentale considerare gli aspetti visibili e invisibili, senza trascurare ciò che accade nel corpo.

Tenerli tutti insieme è un vortice di equilibrismi che presuppone presenza e consapevolezza di quanto sta accadendo, anche se è una difficoltà che svanisce immediatamente quando si accede ad uno spazio sicuro, un moto sottile e autentico: il Sentire. Originato dalla relazione del corpo nello spazio, diventa un sostegno prezioso, per noi e il campo.

Ognuno di noi ha, ed è, un campo.
Ognuno di noi ha, ed è, una storia (eventi vissuti, persone incontrate, spazi condivisi…).
Ognuno di noi è un campo dentro un campo, a sua volta dentro un campo, e così via, fino a generare una rete infinita e condivisa di campi.

A questo punto, la mia domanda è: siamo noi che sosteniamo il campo, o è il Campo che sostiene noi?

Nel primo caso, sostenere il campo significherebbe mediare con la nostra individualità, egoica, operando un processo di frammentazione, una separazione, e noi tendiamo all’unità, all’integrazione, al mettere insieme.

Viceversa, se poniamo prima il Campo, e successivamente noi come parte integrata, siamo automaticamente all’interno di in una rete più grande, stretta, resistente, resiliente, cosciente, che ci sostiene, per essere.

di nuovo dentro al mondo […], immersi – così come il pittore che affonda nella materia di cui si nutre per dipingere o il musicista che respira la sonorità stessa dell’atmosfera – nello spazio immaginativo, tra uomo e natura, in quel diaframma che ricuce lo strappo, che lo guarisce”
(Mottana, 2004, p. 72, in Poetica dello spazio educativo, Marina Barioglio, 2018)

In questa seconda visione, ben descritta dal filosofo Paolo Mottana nella sua analisi immaginale dello spazio, il Campo è un elemento di forza determinata a definire il campo della sessione, che diventa così  una scheggia ologrammatica del primo; più o meno la stessa relazione che intercorre tra inconscio individuale e inconscio collettivo, che si offre come spunto per una riflessione futura.

 

Cristina Ferina

 

Influenzare la realtà

Mi piace fare parallelismi, quasi per ogni situazione. Generalmente affianco la fisica quantistica, perché è il fondamento della vita stessa. E questo vale anche per Biodinamica.

A tutti gli operatori è stato insegnato di imparare la tecnica e scordarla completamente. Ha un senso questo.

La fisica quantistica dice che l’osservatore influenza la realtà. Non solo la influenza, la modifica, solo per il semplice fatto che la sta guardando. Osservatore significa che non interviene, non giudica, non valuta. Guarda, e questo è tutto ciò che fa.

Quando ci avviciniamo a un corpo per intervenire in modo biodinamico sappiamo che in realtà non interverremo affatto, sappiamo che creeremo il contatto in modo quasi sacro perché sappiamo, senza sapere, con cosa entreremo in contatto. Ci avviciniamo quasi trepidanti, perché ogni volta è un viaggio anche per noi, perché ogni volta quel punto di quiete raggiunto modifica anche noi.

È proprio osservando l’onda della vita che pervade il corpo, sentirla nelle mani, esserne attraversati fino a non comprendere se siamo noi o è il corpo in contatto o entrambi. Fino a quando tutto scompare e non esiste nemmeno il pensiero. E noi, operatori, cosa facciamo noi? Niente, ne facciamo parte osservando. I più grandi risultati si raggiungono quanto meno pensiamo di fare, tanto più rimaniamo osservatori neutri.

Le persone riferiscono puntualmente di aver cambiato atteggiamento nei confronti della loro vita, di aver trovato serenità e di essere uscite dalla visione drammatica delle situazioni.

La frase finale del film Next pronunciata da Nicolas Cage enuncia: “Così succede, quando guardi una cosa quella si trasforma per il semplice fatto che l’hai guardata”.

Se la Biodinamica modifica la visione sulla vita della persona, perché può farlo solo tramite l’operatore quando evidentemente è già presente? Perché occorre che qualcuno la riconosca.

Se un albero cade nella foresta e nessuno lo sente, fa rumore? Non è una domanda di filosofia orientaleggiante, questa domanda è stata posta nel ‘700. Ai giorni nostri la scienza ha confermato che no, non fa rumore. Perché le vibrazioni della caduta producano suono necessitano di un apparato uditivo che le riconosca.

Ecco perché l’osservatore influenza la realtà, semplicemente perché la interpreta.

Ho provato, nel massimo momento di quiete, a percepire connettendomi all’onda di vita che attraversa il mio corpo. È fantastica questa esperienza, pure niente di paragonabile a quando sono io a ricevere una seduta di Biodinamica, durante la quale non devo intervenire con nessun pensiero o sensazione o attenzione. Forse occorre, come per l’albero caduto, un altro apparato uditivo che la riconosca. Tutto è già presente e non manifesta il suo più alto potenziale fino a quando qualcuno non lo riconosce perché riconoscendolo gli dà un nome e lo porta in manifestazione piena.

a cura di Patrizia Massi

“Sviluppare la facoltà immaginativa significa arricchire la nostra umanità, in quanto è una delle più alte attività spirituali dell’uomo”.

Jung

 

In più di dieci anni di pratica, senza pretesa alcuna, ho cercato, per varie necessità, prima tra tutte quella didattica e pedagogica, di collocare, per quanto possibile, la Biodinamica, trovandole un posto d’eccellenza tra gli scaffali delI’mmaginale e del Fare Anima, concetti che si radicano nella Psicologia del Profondo, prima di Jung, intellettuale fuori dallo schema, e poi di Hillman, suo discepolo, che, nel riperderne la visione, l’ha anche ampliata.

L’Immaginale è la terra di mezzo, al confine tra visibile ed invisibile, foriera di una simbologia primitiva e spontanea, equilibrante l’attività mentale e cognitiva, imbevuta di logica e razionalità. L’Immaginale non è solo una dimensione simbolica, è una qualità presente in tutti, da risvegliare, perchè conduce nei regni delle infinite possibilità. Qui, niente è giusto, niente è sbagliato. Tutto è. Senza giudizio, senza aspettative. A parlare, sono le immagini.

Il Fare Anima è la capacità di leggere, al di là di ogni interpretazione, il messaggio profondo e autentico veicolato dalle immagini, espressione assoluta dei miti, contemporaneamente all’origine, e regolatori, dell’umanità.

Si distinguono un Fare Anima, individuale, proprio di ognuno di noi, e uno collettivo, Anima Mundi, che porta ad incontrarsi in uno spazio simbolico: la radura, la stessa che si apre innanzi a noi durante una passeggiata nel bosco, da cui è possibile, mentre si riposa, apprezzare il mondo circostante. La radura riporta al concetto, naturalmente simbolico, di recinto sacro, di témenos, all’interno del quale si svolge il rito, incarnazione della Sacralità, legame tra gli uomini, comunicazione con gli dei[1], che, nello scongiurare l’ineluttabilità della morte, riporta in vita, con una continuità fenomenologica, gesti antichi. E’ un eterno presente, dove il tempo lineare viene sostituito da quello circolare. Tutto si svolge adesso, perfettamente, così com’è (e dove tutto si è appena svolto e si svolgerà).

In Biodinamica, accade, si può dire, lo stesso; la dimensione cosciente, in cui si svolge la seduta, il témenos, si approfondisce sempre di più. I sistemi, del cliente e del praticante, pur mantenendo la loro specificità, si contaminano reciprocamente nel campo relazionale, diventando il punto di origine di una ritualità, non arbitraria, non intenzionale, bensì necessaria.

I movimenti sottili percepiti nel campo compongono immagini attive e senzienti, che si esprimono in una lingua ancestrale ed archetipica, compresa istantaneamente dal nostro inconscio e dal nostro cervello più antico. La capacità di parlare per immagini è la prima forma di comunicazione degli uomini (basti pensare alle incisioni rupestri).

Con l’Immaginale siamo in contatto con la nostra autenticità, che ci guida come un faro nella notte. Ritorniamo ad uno stato primitivo, senza pregiudizi, senza sovrastrutture. Ci ripuliamo da tutto il superfluo, dalla confusione.

Si operano, sia nell’Immaginale sia nella Biodinamica, con un effetto rete, una integrazione e superamento di schemi inerziali, individuali prima, e collettivi poi, facendo esattamente e sempre la stessa cosa, Anima, con le stesse risorse, le immagini.

 

Cristina Ferina

[1] Quaderni di Eranos, Il Rito (Neumann, PortmanN, Scholem)

Come dice Michiu Kaku, fisico giapponese:

“I fisici sono fatti di atomi. Un fisico è il tentativo di un atomo di comprendere se stesso.”

Quindi un operatore in Biodinamica comprende se stesso mentre svolge il suo lavoro? È un mondo affascinante, quello in cui ci si cala, sia per l’operatore che per il cliente.

Il liquido cerebrospinale, quella che viene definita respirazione primaria, è il motore automatico che fa accadere le cose nel corpo. Automatico perché funziona senza che ne siamo consapevoli, tramite un pompaggio ritmico della pressione prodotta dal liquido stesso. Il dott. Sutherland, medico che scoprì questo meccanismo, disse che questo sistema era benedetto con un soffio vitale. Questo è ciò che si intende quando si parla di Marea. Quando si parla di Biodinamica si parla della vita. Nessuno potrebbe davvero definire cosa sia la vita. Parlavo con mia figlia quando era piccola, mentre guardavamo dentro la vasca trasparente, sulla differenza tra un pesce vivo e un pesce che non lo è più: il nostro pesce galleggiava immobile a pancia in su. È la vita, rispose lei, è la vita che manca. Non si vede ma si possono constatarne gli effetti.

È così complesso definire cosa sia la Biodinamica tanto quanto è complesso definire cosa sia la vita. Parrebbe di saperlo, siamo vivi del resto, invece a parole ci scopriamo un po’ impacciati. Forse non può essere spiegato perché non ci sono parole conosciute in grado di farlo, dovremmo inventarne di nuove.

Pure la Biodinamica è l’esperienza più semplice e quotidiana che affrontiamo. Anche una zucchina è biodinamica. Perché non esiste nulla di più prorompente e dinamico della biodinamica. Anche i tifoni rientrano nella biodinamica. Anche i fulmini e i venti, con le loro masse d’aria che spostano per il pianeta, ogni singola particella che compone tutto è biodinamica, contiene lo stesso principio travolgente. Il bello è che travolge tutto a dispetto delle nostre credenze e del goffo tentativo di tenerla in argini definiti e spiegarla.

Come è la potenza del fulmine così è dentro di noi, come è la calma del mare così è dentro di noi, come è in una stella così è dentro di noi. Siamo fatti dagli stessi atomi, pochi componenti in realtà, per questo si dice che siamo fatti di stelle. Anche perché dire che siamo fatti di zucchine risulterebbe offensivo.

Cos’è dunque la Biodinamica? È il principio sulle cui teorie si basa tutta la conoscenza fisica attuale. È il principio che dissolve gli ostacoli provocati dal vivere conflitti, come accade al giorno d’oggi, e poggia sulla conoscenza dei principi fisici che governano le funzioni corporee e la loro cooperazione, perché quando tutti i principi sono allineati fra loro si sta bene, acquisendo benessere e chiarezza lucida anche nei pensieri. Perché mente sana in corpo sano significa che i due sono collegati, ma non può essere una strada a senso unico. È circolare e non si sa quando finisce una e inizia l’altra. Si può intervenire ovunque all’interno della circolarità per modificare ovunque all’interno di quello spazio.

Un operatore in Biodinamica è un fisico, che approccia il principio basilare come fanno i fisici, tentando di comprendere. E questo tentativo ogni volta produce risultati sorprendenti perché la Biodinamica vince, comunque. Tuttavia è facile notare un particolare: la Biodinamica è già presente, come è ovvio, ma pare rispondere e aumentare la sua funzionale potenza quando un operatore interviene sul corpo del cliente. Affascinante, e di questo parlerò più avanti.

a cura di Patrizia Massi

  

“E noi dobbiamo soltanto esserci, ma semplicemente,

non con insistenza, come la terra, concorde alle stagioni

chiara e oscura e tutta nello spazio”. 

R.M Rilke

Siamo governati dalla ciclicità, dalla temporalità circadiana, un ritmo al quale non possiamo sottrarci. E’ quello della vita, del movimento, dell’ineluttabilità degli eventi e della trasformazione. Sono passi frenetici, alternati, quasi per una fisiologica e necessaria compensazione, ad una sorta di riposo: il tempo della quiete.

La quiete. Un’immagine a noi cara, con la quale ci penetriamo reciprocamente. Una quiete di transizione, che preannuncia, e implica, l’inevitabile passo successivo. Una quiete, quindi, non assimilabile alla stasi, che invece riporta a fissità.

La quiete non è lontana dalle nostre esperienze di ogni giorno. Se prestiamo attenzione, fa la sua comparsa anche nei momenti di intenso bailamme; è quel momento in cui qualcosa vuole ricordarci che ci siamo. Semplicemente, come scrive Rilke.

La quiete si muove negli spazi interstiziali delle nostre vite. E’ quell’attimo tra un respiro e l’altro, quel momento in cui volgiamo lo sguardo da un’altra parte, l’istante che precede un sorriso, quel secondo prima che esploda un’emozione. E’ una dimensione dove il tempo assume un senso di sacralità ed assolutezza che lascia spazio ad una nuova consapevolezza. La quiete introduce alla poetica dei luoghi interiori e ci connette con la bellezza dell’anima, indossando la veste di un contatto delicato, fatto solo di ascolto e presenza.

La quiete è la melodia delle origini. Ci riporta allo stato ancestrale in cui il nulla era già tutto, e viceversa. E’ il regno della totalità e delle apparenti incoerenze, dove le percezioni si distorcono; un secondo può durare una vita e la forma, che qui non tradisce la funzione, si mescola con la sostanza. Restituisce il senso alle immagini del nostro inconscio, è un frammento dell’onirico che sconfina nello stato di veglia.

La quiete si manifesta così com’è, e non è annunciata. E’ un riflesso involontario del nostro sistema, si inserisce tra un movimento e l’altro, tra un pensiero e l’altro.

 

La quiete è propiziatrice: ci permette di attingere alla fonte delle nostre risorse che  si rafforzano e si moltiplicano spontaneamente nella relazione con gli altri, quindi anche nelle sedute di Biodinamica. Il campo cosciente ed intelligente è un’immensa cassa di risonanza in cui la nostra storia si intreccia con quella del cliente, mentre i momenti di quiete sono condivisi, quindi potenziati.

La quiete, qui, ma anche in natura, è la condizione adatta a riorganizzare, a riportare coerenza nella complessità, a recuperare la propria integrità, a deframmentare, a restituirci il senso perduto che servirà a tracciare il sentiero diretto alla nostra autenticità.

La quiete è l’albedo alchemica, la seconda fase della Grande Opera, dove siamo in connessione diretta con l’anima già informata, come scrive Hillman[1]: 

“ Non tutti i bianchi sono uguali, e solo quello dell’albedo attiene all’argento alchemico inteso come stato di coscienza che proviene non già dall’anima, come semplicemente dato, bensì dal lavoro fatto su di essa”.

Il tempo della quiete ha la preziosità dell’argento lunare, la capacità di trasmutare, di portare a compimento il processo di integrazione, è collegato all’elemento acqua, e influisce sulla nostra evoluzione.

E’ un tempo di cui bisogna avere cura.

[1] James Hillman, Pisicologia alchemica – Adelphi pag. 139

a cura di Cristina Ferina

“Sulla pelle di ogni essere umano

è anche rappresentato tutto l’Universo, 

nel suo passato, nel suo presente e nel suo futuro.” 

(Giuseppe Calligaris)

 

L’Acqua è silenzio Vivo.
Acqua che sa di stato calmo, di agente guida, di prontezza, di ordine, di assemblea, di origine, di vibrazione, di relazione, di attraversamenti, di alloggio, di spazio di carità, di zoé.
Vi riproponiamo gli articoli dedicati all’evento A.CS.I. “L’elemento acqua” del 27 e 28 novembre al Seraphicum di Roma, con Gerald Pollack, Doris Plankl e Remo Rostagno.

 

La socialità dell’acqua
Capiamo veramente il comportamento sociale dell’acqua?
Poiché l’acqua si trova ovunque, si potrebbe arrivare alla conclusione che la comprendiamo.
Ma non è proprio così…

 

Acqua come evento?
La qualità relazionale dell’acqua: una relazione in continua espansione. Ma noi operatori, fino a quanto riusciamo a scorgere questa sua generosità in quiete, indipendentemente dalle circostanze condizionanti?

 

La meraviglia, la purezza, la stabilità
Cosa sostiene la costante vitalità dei fluidi? Cosa li accorda in quel modo?

 

Geografie Fluide
Qual è il meccanismo, o meglio, il bio-meccanismo che dà luogo alle morfologie biologiche?

 

Pollack, l’uomo dell’acqua
Il prof. Pollack riporta una sorta di cronistoria delle scoperte sull’acqua che l’hanno particolarmente stimolato. In questo articolo ci dimostra di prendere sul serio la faccenda “acqua”.

 

Il comportamento sociale dell’acqua
Quest’acqua nascosta e così “sentita”.

 

Pollack e le enigmatiche facce dell’acqua
Pollack comprende la potenzialità del valore ordinato e raffinato “nascosto” che possiede l’acqua.

 

L’ordine implicito dell’acqua
Ma come fanno le molecole d’acqua ad ordinarsi così spontaneamente?”. È quello che si chiede Pollack parlando di un famigerato “agente guida”… energia comune e presente nella vita quotidiana e alla portata di tutti.

 

La quarta fase dell’acqua di Gerald Pollack
L’acqua unisce tutto e tutti.
In modo semplice, Gerald Pollack ci racconta cos’è la Quarta fase dell’Acqua.

 

il video d’invito QUI

 

 

a cura di paolo raccanello